Personaggi

Amintore Galli (musicista 1845 - 1919)

Se dubbi non esistono sulla data di nascita, se è inconfutabile che quando il Galli venne alla luce i genitori Antonio Galli e Livia Signorini abitassero a Perticara ( al tempo frazione del Comune di Talamello ) nelle case dell’Amministrazione della Miniera di Zolfo, in quanto il padre fu inviato assieme ad altri tecnici dalla nuova proprietà della Miniera, la Soc. Sulfurea di Romagna a riattivare le produzioni di Zolfo dopo il fallimento della vecchia società gestrice, sarebbe bene a questo punto capire il perché si continui ad asserire che il Galli nacque a Talamello, oppure se così fosse dare una spiegazione documentale di come la madre in quel preciso giorno potesse trovarsi a Talamello.

Un po’ come la storia di Gesù, sempre ricordato come il Nazareno ma, dato inconfutabile, che storicamente nacque a Betlemme.

Il piccolo Amintore fu battezzato a Talamello che al tempo poteva fregiarsi di avere la fonte battesimale, cosa che a Perticara non esisteva.

Utile al fine di mettere ordine in merito alla questione, del luogo di nascita, leggere attentamente la pag. 9 del libro “ Il luogo di nascita di Amintore Galli” di Italo Pascucci ( Ed. “ Associazione Pro Sanleo) dove viene citato per intero l’atto redatto dall’Arciprete Francesco Tomasetti, parroco di Talamello ( atto di nascita n. 593, registrato presso i documenti esistenti presso l’Archivio della Parrocchia di Talamello):

Nell’ atto si legge: “ Die 12 Octobris 1845. Domina Livia Signorini uxor Domini Antonii Galli Ariminenses modo Perticariae degentes peperit hodie albente die puerum quem solemniter baptizavi et vocavi Amintorem, Claudium, Flaminium, pro neonato responderum Dominus Franciscus Zaccarelli Mondajini Ispector salis et Domina Rosa Monti huius terrae, f. Ita est.f. F.C.T.A.T.”

Il bello del latino è che è come la matematica, pertanto, in queste poche righe, è racchiusa la risposta di dove il Galli sicuramente vide la luce. Altri indizi di questo “intricato pazle” sono i luoghi di nascita dei fratelli: due sorelle, Eroteide e Ezifola, nate a Perticara e morte bambine. Un secondo fratello maschio Claudio nasce a Perticara, viene battezzato a s. Donato di S. Agata Feltria, lui pure morto appena nato. La fama mondiale di Amintore Galli deriva dal fatto di aver scritto la Musica dell’Inno dei Lavoratori.

Il motivo non fu scritto per questo fine, ma venne composto per un ricreatorio giovanile di Milano. Fu la felice intuizione di Filippo Turati che scrisse le parole adattandole al motivo. Da questo connubio possiamo asserire che è nato un inno, conosciuto in tutto il mondo , come il più bell’ inno italiano.

Il giudizio di Mons. Don Pietro Cappella, parroco di Perticara e tenace ricercatore storico sulla figura del Galli, sull’Inno dei lavoratori: “riflette il carattere e la natura dell’Autore e porta il calore e la spinta travolgente subito respirata tra i minatori di Perticara”. Ma non c’è ne voglia Don Pietro se un po’ di merito lo diamo anche all’acqua benedetta di Talamello.

Il Dottor Giovanni Magnico (1912 - 1984)

Nato a Bologna nel 1912

Medico dei minatori dal 1946 e medico condotto negli ultimi anni della sua vita.

La sua opera professionale, ma nello stesso tempo umana e di supporto morale per i lavoratori della Miniera-Montecatini gli valsero il 19 dicembre 1974 alle ore 17 nella prestigiosa sala d’onore della Fondazione Carlo Erba a Milano, direttamente dalle mani del Senatore Pasquale Valsecchi del collegio di Como , davanti a un folto pubblico di medici e di scienziati e delle più alte autorità, il glorioso premio “Missione del Medico”.

La lunga motivazione letta quella sera dal Prof. Carlo Sirtori, Presidente della Fondazione Carlo Erba, viene efficacemente riassunta, a margine della manifestazione, dal Magnifico Rettore dell’Università di Pavia Prof. D’Anna: “ La dimensione umana del Dottor Giovanni Magnico è quasi al di fuori della realtà. E’ una dimensione umana che non conosce limiti, che esalta, ed esaltando trasmette tutto il suo amore per il prossimo.”

Ecco quanto scrisse il Maestro Gino Ghilardi, Sindaco di quel tempo nella presentazione che fece del Dottor Giovanni Magnico alla Commissione giudicatrice del premio:

...venne a Perticara come medico dei minatori alle dipendenze della Società Montecatini e per ben 25 anni ha vissuto con loro, conoscendo, i disagi della miniera. Con essi ha sofferto, con essi ha pianto, uomo di estrema sensibilità, con loro ha sorriso. In verità sempre poco ha sorriso poiché la vita della miniera dava quasi sempre lacrime. Ha visto morire, ha consolato i minatori nel momento della morte, ha curato i feriti, li ha sollevati nei momenti difficili, insomma un minatore fra i minatori. Giovanni Magnico non ha chiesto mai nulla, anzi sempre gratuita era la sua visita all’ammalato. Voleva e desiderava, in maniera fraterna il bene dei minatori e dei loro famigliari.Nel 1964 la chiusura della miniera, la smobilitazione e la diaspora. I giovani trasferiti, gli anziani pensionati. Pensavamo allora anche al trasferimento del nostro Dottore, poiché Perticara non aveva granché da offrire ad un medico ancora nel vigore dei suoi anni migliori. Ma, ancora una volta, il nostro Dottore ha risposto positivamente all’appello “silenzioso” dei suoi minatori di fronte all’eventualità della sua partenza. Ma, poteva il nostro Dottore con un colpo di spugna cancellare anni e anni di vita in comune e trasferirsi nella comoda città, poiché come per tutti noi, anche per Lui Perticara offriva, in quel tempo, buio e incertezza, senza alcuna prospettiva? Ebbene, Giovanni Magnico è rimasto, ha rischiato con noi, e oggi possiamo dire che con la sua presenza ha contribuito all’opera di quanti di noi si sono adoperati per la rinascita del paese. I minatori sono invecchiati, i figli dei minatori sono cresciuti ed amano e stimano il nostro dottore con la stessa maniera ed intensità dei loro padri. Ora continua la sua opera come medico integerrimo ed ogni giorno, puntualmente, senza alcun bisogno, i minatori lo vanno a trovare. E’ il momento più felice, è il momento dell’amicizia. Come Sindaco dico che Il Medico Giovanni Magnico merita il premio istituito dalla “Carlo Erba”, come primo cittadino, dico che il premio noi glielo diamo da lunghi anni con il nostro affetto duraturo. Questo è il curriculum del Dottor Giovanni Magnico: “il medico dei minatori”...

Maestro Gino Ghilardi

In queste parole è splendidamente riassunta la figura morale del nostro dottore e “ vano sarebbe” scrive sempre il Maestro Ghilardi “ cercare di tradurre in parole le sue benemerenze perché esse sono scolpite nei cuori di quanti ebbero la fortuna di conoscerlo”. Oggi riposa accanto ai suoi minatori nel piccolo cimitero di Perticara e sulla sua tomba non manca mai un fiore perché tanti sono coloro che con “corrispondenza di amorosi sensi” vanno a renderli omaggio.

Il bandito Martignòne

Martino Manzi detto Martignòn, nato a Casalecchio di Sopra di Perticara il 15 febbraio 1836 e allo stesso giorno battezzato al Fonte Battesimale di Tornano perché la parrocchia si S.Martino a quel tempo non aveva un Fonte Battesimale proprio.

I genitori si chiamavano: Manzi Pietro e Monti Maria. Aveva due fratelli (Giovanni e Davide) e quattro sorelle (Eurosia, Faustina, Filomena,Eva). I genitori erano poveri, ma persone per bene. Martino invece “fu sempre inquieto e turbolento”. A vent'anni risulta ammogliato.

Capo sorvegliante delle miniere sulfuree di Perticara, sergente furiere della Guardia Nazionale, nel 1859 partì volontario per la seconda Guerra d’Indipendenza, insieme a molti altri patrioti di Perticara, repubblicani come lui. Era uomo di fiducia del direttore delle due Miniere, Pietro Pirazzoli.

Per oltre ventanni tenne una vasta zona sotto pressione con la minaccia di rappresaglie sotto il tiro della sua doppietta o quella dei suoi banditi. Di lui se ne raccontano tante che è perfino difficile elencarle tutte. “ Al suo tempo – si legge nelle memorie di Don Bertozzi – impera il partito repubblicano, e Martignone aveva costituito un gruppo di uomini d’intendimenti repubblicani, pronto a tutto. Anche i fratelli Giovanni e Davide facevano parte di questo gruppo, che, guidato da Martignone, dovunque passava, portava il terrore.

Varotti

Il 1 settembre 1872, Martignone partecipò ad una festa in Sant’Agata Feltria.

Tra “ le due Ave Maria” di quel giorno, era a braccetto di una mondana di San Donato, di nome Lucia, la quale ricevette – forse per aver pronunciato frasi ingiuriose – uno schiaffo dal carabiniere Pisani. Tra l’uomo dell’ordine e il capo banda nacque un battibecco, ma sul presente, senza conseguenze. Il 15 dello stesso mese, in San Donato, altra festa, alla quale partecipò pure Martignone con i fratelli Davide e Giovanni. Quest’ultimo, nella piazza del Paese, fu perquisito dai carabinieri e, trovato in possesso di un coltello, arrestato. Martignone, presente al fatto, cercò di calmare il fratello. Secondo alcuni gli ha detto: “Va, va pure, che anch’io vengo con te”. Ma già meditava la vendetta. Dopo l’arresto di Giovanni, Davide, probabilmente per ordine di Martignone, andò in cerca di compagni e di armi per liberare l’arrestato. Nella notte si tese alle forze dell’ordine una feroce imboscata. Nel conflitto caddero uccisi tre carabinieri di S.Agata. Tra questi, gravemente ferito, Giovanni Manzi, che invano era stato utilizzato come scudo dal carabiniere che l’aveva in custodia. Nel frattempo, Martignone divenne uccello da rapina, protetto dalla sua banda e coperto dall’omertà della popolazione che lo temeva. Fu presto sconfessato anche dai Repubblicani che affissero nel Montefeltro manifesti ove dichiaravano di disdegnare “ la vendetta che si cela nell’ombra” e di tenere “vile colui che ferisce alla schiena”. Sul capobanda si pose una taglia di mille lire,e, altre inferiori, sugli altri. Fu ucciso dai suoi stessi compagni la sera del 19 novembre 1872 in un castagneto che da Piedimonte conduce a Tornano.

Don Bartolini in da Perticara nel Montefeltro

A Perticara questi fatti causarono la rovina politica dei Repubblicani: “… Garibaldi e Mazzini...qui nella repubblica di Perticara, comandavano. Quando Martignone ha ammazzato i carabinieri, s’è rivoltata la frittata, e la repubblica di Perticara è finita.” “Il governo ha fatto la mossa giusta. Ha messo in seconda riga nelle indagini i carabinieri troppo interessati direttamente, che volevano vendicarsi. E’ venuto un delegato di polizia, una volpe che stava a Pennabilli a sorvegliare le mosse dei preti, e non aveva niente da fare perché i preti non si muovevano. Allora gli diedero la gatta di Perticara da pelare. Martignone voleva soldi per emigrare in America e li voleva dai suoi vecchi amici repubblicani dai quali dipendeva la Società di Mutuo Soccorso. Il delegato ha capito che quello era il tasto da toccare. L’avarizia e la paura che Martino una volta catturato facesse spia dei delitti fatti assieme. Poteva bastare un Martignone morto. Chiusa la bocca per sempre, risparmiati i soldi, affare fatto. Il delegato istruì gli “amici” come ammazzare Martignone e farla franca. Dovevano ucciderlo nella provincia di Forlì dove la lotta politica era alla romagnola, cioè fucile e pugnale. Un chilometro dal confine della provincia di Pesaro, nel comune di Mercato Saraceno, verso Tornano, in provincia di Forlì, dove era stato battezzato, l’hanno ammazzato.

Benedetti in Il segreto di Beatrice

Al funerale, in forma civile, intervenne molto popolo, specialmente dalla vicina Romagna. Erano quelli delle miniere di zolfo della Boratella, vicino a Cesena , i repubblicani contrari a Mazzini e che tenevano per Garibaldi e la Comune di Parigi.” Valida ci sembra la considerazione espressa da Benedetti nel suo “Un innominato dell’ottocento”: “ Quella strage fu azione folle e devastante che deve essere valutata nel prima e nel dopo. Il prima, in rapporto con i lontani sommovimenti europei e la loro risonanza nelle miniere gemelle del Cesenate. Martino Manzi era un garibaldesco, e stava per la Comune. Il dopo di quella lontana sciagura, arriva fino a bagnare la storia recente: i minatori di Perticara da quell’episodio dimezzati come soggetti politici, iniziarono un cammino a ritroso che portò all’adesione di massa e apparentemente immotivata alla Repubblica Sociale.

Don Bertozzi
Don Cappella

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